JEZABEL
dal romanzo di Irène Némirovsky
versione teatrale di Francesco Niccolini
regia di Paolo Valerio
con Elena Ghiaurov
e con Leonardo De Colle, Roberto Petruzzelli, Francesca Botti, Sara Drago, Jozef Gjura e Giulia Odetto
scene Antonio Panzuto
movimenti di scena Monica Codena
costumi Luigi Perego
musiche Antonio Di Pofi
luci Luigi Saccomandi
produzione Teatro Stabile di Verona - Centro di Produzione Teatrale Teatro Stabile di Napoli - Teatro Nazionale
Allontaniamo subito un legittimo dubbio: se qualcuno pensa che Iréne Nèmirovsky abbia scritto un romanzo contro una donna, sta prendendo un clamoroso abbaglio. Il suo è un processo a una società, a una classe sociale e a un’epoca ormai al tramonto. Peggio: in decomposizione. Lo fa con lucidità e determinazione, senza sconti eppure con un eccezionale mix di sorprendente lucidità e laicissima compassione. Questa è la forza magnifica, visionaria e profetica di Jezabel.
Il Teatro può rendere un importante servizio a questa grande scrittrice russo-ebrea, fuggita da Mosca a Parigi dopo la Rivoluzione d’Ottobre e morta ad Auschwitz dopo neanche un mese di sofferenze nell’inferno nazista. Perché, quanto il romanzo è impregnato di un cupo realismo, lo spettacolo permette di spostare il tiro sugli aspetti più intimi, sensuali e introspettivi di questa vicenda. Trasforma i simboli in carne, dolore e rimpianti. Questo grazie prima di tutto a una delle componenti fondamentali del romanzo: il ballo. Jezabel, da quando diciottenne appare per la prima volta a una festa danzante, fino all’epilogo (quando di anni ne ha sessanta), non smette mai di ballare.
Sudamericana, bella, attraente, dotata di una misteriosa capacità di non invecchiare. Adorata da ogni uomo, corteggiatissima, Jezabel non può non sedurre. Elegante, ricchissima, mai volgare, naturalmente generosa. Eppure devastata da una catastrofe interiore: è ossessionata dall’invecchiare. Questo incubo la divora e trasforma ogni attimo di felicità in rimpianto e la gioia dell’attimo in terrore verso il futuro, paura di non essere più amata né corteggiata.
Francesco Niccolini
Dopo "Il Ballo", Francesco Niccolini torna a Irène Némirowsky per "Jezabel" insieme al regista Paolo Valerio. Insieme mettono in scena uno dei romanzi più noti e pungenti della grande scrittrice russa morta ad Auschwitz. E' la storia di na donna sudamericana, bella, attraente, dotata di una misteriosa capacità di non invecchiare. Adorata da ogni uomo, corteggiatissima, Jezabel non può non sedurre. Elegante, ricchissima, mai volgare, naturalmente generosa. Da quando diciottenne appare per la prima volta a una festa danzante, fino all’epilogo (quando di anni ne ha sessanta), non smette mai di ballare. Eppure devastata da una catastrofe interiore: è ossessionata dall’invecchiare. Questo incubo la divora e trasforma ogni attimo di felicità in rimpianto e la gioia dell’attimo in terrore verso il futuro, paura di non essere più amata né corteggiata. Jezabel, giunta in Europa giovanissima a fine Ottocento, sempre al centro dei salotti più ricchi e nobili delle capitali d’occidente, vive avvelenata da quello stesso desiderio che la circonda, dalle ipocrisie, dai finti amori e dallo sfrenato bisogno di provare piacere: un piacere che tutti, in queste lunghe notti dall’edonismo sfrenato, cercano disperatamente. A fare da spartiacque, la tragedia della prima guerra mondiale, che si porta via tutti i ventenni e l’innocenza, lascia solo macerie: lampadari che crollano, pareti scrostate, solai sventrati e ferite che non si rimarginano. Per raccontare questa tragedia abbiamo immaginato, racconta Niccolini, un sacrario irreale, fatto di passato e presente, vivi e morti, avida voglia di vita e inferno, dove le ossessioni (e i sussurri e le grida) non ti lasciano in pace mai: sala da ballo di un tempo perduto e al tempo stesso aula da tribunale dove Jezabel è obbligata a fare i conti con la Giustizia, ma soprattutto con la sua coscienza, per troppo tempo anestetizzata. Forse è il giorno del giudizio, dove anche i morti hanno diritto a testimoniare, o forse più banalmente un qualunque processo, dove giudici e giuria devono raggiungere un verdetto, ma partendo da un pre-giudizio di colpevolezza. Ma quale sia la vera colpa, alla fine del Tempo, non è detto che si arrivi a capirlo.